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Il Melone..il frutto dell'abbronzatura!

Il melone è un frutto tipico dell' estate.  fa parte della famiglia delle Cucurbitaceae. Il coltivato appartiene alla specie Cucumis melo il cui frutto, polimorfo, ha dato vita a numerose varietà; le più importanti sono:
  • meloni  cantalupio, di media grandezza, superficie liscia, polpa giallo-arancio, chiamati così perché portati da missionari asiatici al castello pontificio di cantalupo sui colli di Roma.
  •  meloni retati, di media grandezza, polpa bianca o giallo-verde, con superficie reticolata.
  •  meloni d'inverno, polpa biancastra o rosata con buccia liscia, dal gusto intermedio,costituiscono il tipico piatto di Natale.
  • melone come ortaggio .

Come già  sappiamo, il melone rientra tra i frutti più dolci e  dissetanti

La quantità di acqua infatti per ogni melone è spesso il 90%  ed una minima quantità di fibre e proteine, non contiene però molte kcal, sono solo 33.

Il melone quindi è pieno di vitamine: A ,B1 ,B2 ,C  e PP .

Il melone è ricco di potassio,fosforo,calcio e sodio


E' antiossidante, produce melanina, favorisce l' abbronzatura, fa bene alla nostra vista, ai denti e alle ossa, depurativo, diuretico e rinfrescante

Il consiglio è di mangiarlo sia con il classico prosciutto crudo o con qualche goccia di limone per esaltare il suo dolcissimo gusto.


Ufficio Stampa
Farma e Benessere


Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/melone.html

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/benessere/melone.html

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La melanzana: Solanum melogena

Quante volte in questa calda estate, le nostre mamme e le nostre nonne , durante i pranzi e le cene ,ci fanno trovare la parmigiana di melanzane?!
Un tipico piatto delle nostre zone (la Campania).

Importante sapere quindi qualcosa in più su questo ortaggio meraviglioso che ci accompagna da quando siamo nati.

La melanzana (solanum melogena questo il nome della pianta) contiene solanina, ed è questo il motivo per cui va sempre consumata cotta: l’alta temperatura riduce la quantità di questa sostanza tossica. Le varietà sono tante.

La melanzana contiene poche calorie, circa 18 ogni 100 grammi; la consistenza  fa sì che assorba i condimenti presenti nelle ricette.

Ogni melanzana contiene circa 18 calorie, numerosi sono i suoi valori nutrizionali, che sono potassio,  fosforosodio e calcio.
Inoltre contiene vitamina A, B  e C.
Per le numerose quantità di fibre è consigliato per la stipsi, fa molto bene al  nostro fegato, e ha capacità diuretiche dovute anche alla  quantità d’acqua che possiede.

Nella medicina tradizionale veniva usata anche come antinfiammatorio
Il consiglio quindi è sempre di approfittarne visto che mangiare ortaggi e frutta nel periodo in cui nascono è sempre meglio.


Di seguito una ricetta veloce:

MELANZANE CON CAPPERI E PINOLI

Ingredienti:
2 melanzane, 50 gr di capperi ,1 mazzetto di prezzemolo , 1 peperoncino, 50 gr di pinoli, 1 mazzetto di basilico, mezzo spicchio d'aglio, q.b. olio extravergine d'oliva,sale e pepe.

Procedimento:
Lavate le melanzane, tagliatele a metà, appoggiatele sulla griglia calda dalla parte tagliata e cuocetele per 4-5 minuti. Intanto tritate grossolanamente i capperi con i pinoli, il basilico, il prezzemolo, l'aglio e il peperoncino e mescolate il tutto con 6 cucchiai di olio, sale e pepe.Girate le melanzane grigliate, incidetene la polpa con tagli profondi, irroratele con l'intingolo preparato e proseguite la cottura per altri 4-5 minuti. Lasciate intiepidire leggermente prima di servire.
Ufficio Stampa
Farma e Benessere

Dott. Marco Barone - Farmacista - Marketing Manager

Parole Chiave: benessere, prevenzione, azienda, marketing, consiglio, farmacia, medicina

Dietologia

La miglior dieta è indubbiamente quella di mangiare meno.
Ma i lavori scientifici effettuati con diete a basse calorie hanno rilevato un fallimento, quasi totale, di queste riportando solo l'8% di risultati positivi nel tempo. Solo i pazienti che hanno meno di 10 kg da perdere hanno qualche speranza di successo.
Certo è che il regime a basse calorie, quando è ben equilibrato, resta sicuro, quasi senza pericolo per i nostri pazienti, ma rimane il più duro, il più difficile ed il più penoso per le seguenti ragioni:
– questa dieta non toglie la fame, poca gente resiste a questa sensazione spiacevole ed abbandona dopo due o tre settimane
– questa dieta è troppo lunga, una perdita di 500 grammi la settimana è un fattore demotivante per un paziente che ha più di 10 kg da perdere
– questa dieta favorisce la tentazione, la continua fame porta a frequenti deroghe nella limitazione delle quantità alimentari da assumere
Inoltre, il medico deve ricordare, quando somministra questa dieta, che alla diminuzione di apporto calorico si accompagna spesso un abbassamento dei bisogni metabolici.
Un'alternativa proposta è quella del digiuno assoluto.
Questo regime, che è composto da sola acqua assunta a volontà, porta ad una perdita di massa magra superiore alla perdita della massa grassa. Questa perdita avviene soprattutto a livello dei muscoli striati. Le fibre muscolari cardiache fanno parte di questa perdita con possibili conseguenze mortali.
Studi fatti sul bilancio azotato mostrano che con il digiuno assoluto un adulto che pesa 70 kg perde 3,7 kg di azoto ogni giorno. Considerando che un grammo d'azoto corrisponde a 6,25 grammi di proteine e che il muscolo contiene circa il 20% di queste, la perdita è di 32 grammi di muscolo al giorno. Aggiungendo che i bisogni proteici aumentano sotto restrizione calorica, si arriva che dopo 10 giorni di digiuno il paziente perde circa due chili di tessuto muscolare.
Da queste considerazioni numerosi autori cominciarono a studiare la possibilità di trovare una dieta che potesse dare un bilancio calorico negativo minimizzando la perdita di massa magra. Per questo era necessario modificare il digiuno assoluto con una integrazione proteica.
Bollinger nel 1966 provò ad aggiungere dell'albumina. Apfelbaum nel 1970 addizionò caseina. Geunth e Verter nel 1974 aggiunsero del glucosio con della caseina.Baird e Howard nel 1975 mescolarono del glucosio con degli aminoacidi.
Fu, però, Blackburn che determinò i bisogni dell'organismo in aminoacidi nel corso del digiuno e che dimostrò come una privazione calorica, con un'assenza completa d'idrati di carbonio, potesse neutralizzare l'effetto anabolico dell'insulina sul metabolismo dei grassi: Infatti senza insulina non è possibile litogenesi.
Blackburn provò che delle piccole quantità di aminoacidi portavano, nel corso del digiuno proteico, dei leggeri cambiamenti nella risposta metabolica e potevano neutralizzare il bilancio azotato negativo. Quindi i pericoli del digiuno assoluto potevano essere eliminati ingerendo delle proteine prive di idrati di carbonio.
In questi studi Blackburn codificò la quantità esatta di proteine che bisognava assumere nel corso del digiuno per proteggere la massa nobile di un individuo, cioè da 1,2 a 1,5 gr per chilo di peso ideale.
Nacque così il digiuno proteico che protegge l'equilibrio azotato e cancella la fame grazie allo stato di chetosi che l'accompagna. Infatti nel digiuno proteico si ha la diminuzione del glucosio con conseguente attivazione del catabolismo dei trigliceridi adipocitari. La lipoproteinlipasi idrolizza i trigliceridi in acidi grassi e glicerolo. Il glicerolo è ossidato a livello del fegato in glucosio. Il 40% degli acidi grassi prodotti vengono utilizzati direttamente nel lavoro muscolare. L'altro 60% subisce una beta-ossidazione a livello epatico con la formazione di Acetil-CoA. Dalla successiva condensazione di due molecole di Acetil-CoA si forma l'acido acetacetico. Questo si trasforma, in massima parte, in acetone ed acido beta-idrossi-butirrico.
Questi tre composti vengono denominati: corpi chetonici.
La corretta funzionalità pancreatica, caratteristica del paziente non diabetico, permetterà la successiva riconversione, in presenza di minime concentrazioni d'insulina, dei corpi chetonici in Acetil-CoA e la loro successiva metabolizzazione.
La formazione dei corpi chetonici nel digiuno proteico riveste numerosi vantaggi:
– forniscono il 25% dell'energia che richiede l'organismo nel corso del digiuno proteico
– facilitano l'utilizzazione degli acidi grassi liberi da parte del cervello che trasforma la sua fonte energetica utilizzando per l'80% del suo metabolismo i corpi chetonici.
– i corpi chetonici circolano liberamente nell'organismo fornendo energia, infatti non hanno bisogno di proteine vettrici e penetrano liberamente nelle membrane cellulari.
Da ciò si può concludere che il digiuno proteico permette di utilizzare a pieno l'energia del tessuto adiposo, riducendolo, senza intaccare la massa magra.
Il Dott. Giuseppe Castaldo, responsabile del modulo di Nutrizione Clinica dell'Azienda Ospedaliera "Moscati" di Avellino, ha sperimentato lungamente questa dieta sia su pazienti ambulatoriali (la dieta, successivamente riportata, prevede l'uso di alimenti naturali, alimenti dietetici ed integrazione vitaminico-minerale). Prima e durante la dieta i pazienti sono stati studiati sul piano antropometrico, cardiologico e sul piano ematochimico. In tutta la casistica ad oggi riportata dal dott. Castaldo (oltre 500 pazienti) si 'è avuta perdita di tessuto adiposo senza diminuzione di massa magra; tutti i parametri ematochimici sono rimasti nella norma senza rilevare variazioni dell'uricosuria (uno dei pericoli del digiuno è la necrosi tubolare per acido urico), del pH ematico (l'eventuale acidosi iniziale da corpi chetonici era prontamente tamponata) e degli enzimi epatici (assenza di steatosi); anche il tracciato elettrocardiografico non ha rilevato alcuna variazione.
Di particolare interesse è stato il rilevare che la perdita di grasso avveniva principalmente dei distretti di adiposità localizzata in eccesso. Anche se questo meccanismo non è ancora perfettamente chiarito si pensa ad un'azione specifica del GH, ormone che aumenta in questo regime dietetico.

Un alimento dietetico proteico per essere utilizzato nel trattamento dietetico deve:
– rispettare o avvicinarsi ai rapporti percentuali degli aminoacidi essenziali consigliati da Meister in Biochemestry of aminoacid nel 1965;
– rispettare il rapporto lisina /triptofano di 5;
– non essere sottoposto ad idrolisi acida, per il suo trattamento, perché questa tecnica distrugge il triptofano;
– avvicinarsi il più possibile alla composizione aminoacidica caratteristica dell'alimento che consente l'accrescimento dell'uomo: il latte della donna.